lunedì 3 ottobre 2022

NON TI ASPETTO

È stata una giornata di grandi riflessioni che ora spero di mettervi giù in maniera che si capiscano e di farvi seguire anche il filo logico che c'era nella mia testa (e forse solo nella mia). Oggi vi volevo parlare di Portobuffolè ma tutto è partito da una ripetizione mancata, ho cominciato a chiedermi se fosse per una questione economica o se qualcuno avesse parlato male del mio lavoro, cosa che credo sia già accaduta e mi piacerebbe saperlo, tipo se qualcuno mi dice: sì, guarda ho sentito che lavori male o sì guarda, costi troppo così magari riesco a capire e ad agire di conseguenza. Pou mentre allattavo Cristiano e giravo nei social, mi sono imbattuta più volte in un titolo che riguardava Marco Bellavia al Grande Fratello vip (spoiler, non vi parlerò del fatto in sé ma dei pensieri che sono scaturiti in me), di solito non leggo ma questo personaggio sapevo chi fosse, un evento per me da quando becco articoli sul gfvip. Mentre leggevo pensavo a Orwell che si rigira nella tomba, visto che il concetto di 'grande fratello' si trova nel suo romanzo 1984 (ve lo consiglio, mette angoscia ma merita) che poi se noi mettessimo per iscritto questa cosa (leggete bene) :
Mettiamo in una casa 10 o 20 (non so quante siano) persone che non si conoscono e spiamole. Ecco se fosse scritto così, si alzerebbero orde di persone inneggiando alla privacy, avete presente quella cosa per la quale dei firmare 6000 fogli a ogni foto che fai o che ricevi e spera bene che la foto non sia a tuo figlio perché i fogli si moltiplicano!
Ecco quella! 
Invece, dato che è tutto messo per immagini, uno mica se ne rende conto. 
Ma torniamo a stasera, leggo questo primo articolo sul corriere e non mettono mai i nomi degli altri partecipanti alla faccenda, ero incuriosita perciò ho cercato, altri 3 ho dovuto leggerne per trovare gli altri personaggi e lì ho capito perché non erano scritti, perché sono perfetti sconosciuti. A parte una che ha un cognome molto famoso, ma ecco, se mio nonno o padre mi escludessero dall'azienda di famiglia pagandomi pur di starne fuori, beh non andrei molto a farmi vedere in giro, diciamo che un po' mi sentirei un verme. Ma questo è un ragionamento da povera, evidentemente.
Mentre portavo fuori il bidone dell'immondizia, continuavo a pensare a Marco Bellavia simbolo della mia fanciullezza perché lui era uno dei presentatori di bim bum bam e mi sono resa conto di una cosa (spero mi stiate seguendo, perché capisco che il filo logico stia facendo molti giri). Quel programma iniziava alle 16 (nei miei anni, so che prima iniziava alle 15.30), durava 2 ore e poi dovevi aspettare il giorno successivo, al suo interno si intervallavano cartoni a puntate che duravano circa 25/30 minuti e una storia non si concludeva mai in un solo episodio, dovevi aspettare il giorno dopo, che nel caso dei calci di holly e Banji e nelle schiacciate di Mila e Shiro, diventava uma settimana. Sette giorni in cui un pallone rimaneva in aria fermo nel tentativo di raggiungere la porta o il campo avversario, con tutti i personaggi altrettanto fermi che aspettavano e noi uguali che aspettavamo. È qui che mi sono resa conto di quella cosa, cioè questa: ci hanno tolto l'attesa che poi diventava desiderio. Dovevamo attendere per i cartoni, per il regalo, per il libro, dovevamo attendere di tornare a casa per raccontare quello che ci era successo durante il giorno, o addirittura aspettare giorni se quella cosa dovevamo dirla a un amico. E tutta quell'attesa si trasformava in scelta, perché quello che facevi, la persona con cui parlavi, la cosa che volevi acquistare o quella da fotografare doveva essere chiara e sicura perché non avevi altre possibilità. La foto, il regalo, il gioco, il libro, l'amore, l'amicizia e persino l'amante dovevano essere una scelta pensata perché avevi per forza il tempo di pensarla  e di rielaborare prima di fare ma soprattutto perché il tuo tempo non lo potevi sprecare. Ora è tutto veloce, e sia chiaro che io amo certe velocità e comodità, il pacco che arriva a casa, il trovare tutto e subito però mi rendo conto che mi manca quello che riguarda le persone. Ho tanti amici, ma con quanti passo del tempo e parliamo? Da quanto è che non vedo certe coppie o certe famiglie? Sì ci scambiamo messaggi, leggono questo blog, io vedo le loro storie, ma quanto so di come stanno veramente? E quanto sanno loro di me? 
I social rendono tutto più facile, come se fosse un teatro ed è facile guardare e commentare gli altri o mettere in scena una maschera di noi e spesso è ciò che preferiamo, perché sedersi davanti a un caffè significa mettere noi stessi, mettersi in gioco e in discussione e questo è sempre più difficile. 

Prometto che domani torno ad essere più leggera e a parlare delle mie consuete vicissitudini da mamma. 

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