Stretta tra quelle
braccia ancora così forti fatico a pensare, non me lo aspettavo, non
è da lui.
Mentre la mia mente
vaga su questi pensieri, si stacca e mi guarda, non sappiamo cosa
dire, per fortuna interviene Giovanni:
– Sei
sempre bella uguale sorellina! –
mi dice mentre si fa spazio tra me e papà e mi abbraccia pure lui.
Non sono abituata a tutti questi gesti di affetto in generale, meno
ancora da loro. Mio padre non mi aveva mai stretto e mio fratello
tendenzialmente mi pizzicava per dimostrarmi quanto bene mi volesse
ma erano passati tanti anni e per loro, come ha detto Elisabetta io
ero morta.
– Venite,
è pronto, sedetevi!– mia madre ci chiama a tavola ed Elisabetta
riprende il centro della scena.
– Zia,
ma tu dove vivi? In cielo?
Sorrido:
– No, vivo in una città un po’ distante da qui ma neanche
troppo, si chiama Padova.
– In
una città? Ma di quelle con i palazzi grandi e tante macchine che
corrono? Come Belluno?
– Mi
sa che ha molti più palazzi e più auto di Belluno!
– E
hai il giardino grande, grande come il nostro qui dietro? – Chiede
indicando il vetro che ha dietro la schiena.
– No,
vivo in un appartamento, ho solo un piccolo terrazzo!
– Non
hai il giardino?– sembra sconvolta ma proprio in quel momento sento
la porta aprirsi – È la mamma, aspetta che vado a dirle che non
svenga!
Sento
la piccola bisbigliare, poi vedo il volto di Lucia comparire sulla
porta pallido:
– Allora
è vero!
– Già!–
le dico alzandomi e dandole due baci sulle guance. Non riesce a dire
molto e i piccoli richiamano la sua attenzione, si dirige verso di
loro continuando a fissarmi. Torno a sedermi e continuo a mangiare,
neanche i piatti di mia madre sono cambiati, buoni come allora e
adesso che ho imparato a cucinare li amo ancor di più perché ho
capito quanta fatica e impegno servono.
Il
pranzo prosegue tranquillo, mi raccontano come va la vita lassù e
cosa fa Lucia, mio padre non parla finché non arriva il dolce, ormai
deve tornare alla stalla.
– Quanto
ti fermi? – mi chiede a bruciapelo.
– Non
lo so, forse qualche giorno!– rispondo sincera, alla fine non ci
avevo pensato.
– Dove
dormi?
Il
mio silenzio fa capire che non ho pensato a nulla.
– Di
sopra, nella camera di Elisabetta!– risponde Lucia
– Siiiiiii,
che bello! – esulta la piccola.
– Non
vorrei disturbare. – cerco di obiettare ma penso che la mia sia più
paura di rimanere lì.
– No
zia, ci sono due letti, staremo benissimo! – si alza mi prende la
mano e mi trascina su per le scale.
Sospiro
mentre mi mostra la camera, era
la mia, un groppo mi sale in gola, la tensione degli ultimi anni in
quella stanza si fa sentire, come se non fosse cambiato nulla eppure
è tutto diverso, per la prima volta penso che
non so se ho fatto bene a venire né soprattutto a rimanere, mi
siedo sul letto che Elisabetta mi concede e penso che non ho bisogno
di sentire Alberto ma il telefono è nella borsa che ho lasciato al
piano di sotto.
– Elisabetta,
vado a prendermi la borsa e la valigia ok?
– Va
bene, poi però ti mostro tutta la casa, è bellissima.
Le
faccio un cenno del capo, lei non sa quanto sia difficile per me
rivedere quelle mura, non può saperlo. Espiro mentre esco dalla
stanza chiudendo la porta.
– Difficile
vero? – sobbalzo
nel sentire la voce di mio fratello, non mi ero accorta di lui. –
Scusa, non volevo
spaventarti, ho pensato di portarti valigia e borsa.
– Grazie,
stavo proprio scendendo a prenderle. È strano rientrare in questa
camera, non ero molto felice quando l’ho lasciata e anche se è
completamente diversa...mi ricorda ancora troppe cose.
Muove
appena la testa, lui non parla mai molto e anche adesso chiaramente
non sa cosa dire, non fanno per lui questi discorsi, almeno in questo
non è cambiato. Mi
passa le mie cose.
– Noi
andiamo a lavorare, Lucia è a casa fino alle quattro anche se adesso
sta cercando di addormentare i bambini, comunque c’è mamma se hai
bisogno di qualcosa!
– E
io… – si
sente una voce da dentro la camera.
– Certo,
ed Elisabetta!
Sorridiamo!
– Grazie,
Elisabetta è una bravissima padrona di casa!
– Spero
solo che non ti disturbi troppo, è un po’ invadente!–
mi dice sottovoce.
Rido.
Il telefono suona nella borsa, mi scuso e lo prendo. Alberto.
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