Mi guarda! Quel
bastardo pianta i suoi occhi dritti sui miei e non dice nulla, poi il
suo sguardo scende verso il mio corpo, quando lo ha attraversato
tutto si alza e se ne va per quella maledetta porta, quella da cui
l’avevo fatto entrare 3 anni fa.
Era una sera di
dicembre, poco prima di Natale, dopo una cena di lavoro, lui era
amico di un mio collega, ci eravamo già incontrati altre volte e
quella notte, grazie anche a qualche cocktail in più l’avevo
invitato a casa mia. Era così premuroso, così dolce, sempre attento
ad ogni mio bisogno.
Nel primo anno mi
aveva regalato una rosa per ogni mesiversario, non se lo dimenticava
mai. Poi ogni mattina trovavo un suo messaggio di buongiorno sul
cellulare. Sembrava una favola, non ci potevo credere, io con gli
uomini ero sempre stata sfigata, non me ne andava bene uno; con lui
finalmente era diverso, almeno lo sembrava. Le cose cominciarono a
cambiare il Natale successivo, l’azienda dove lavorava aveva avuto
dei problemi e si era ritrovato a casa, così sempre più spesso
stava da me, a me non dispiaceva trovare qualcuno quando tornavo dal
lavoro, soprattutto se era lui, ma era sempre più serio e sempre più
incazzato, ogni giorno trovava il modo per litigare: <<
Questa casa è un cesso, non vedi che casino c’è?>> <<
Non pulisci mai, sembra di vivere in un campo nomadi!>>
All’inizio avevo lasciato perdere, pensavo fosse solo un brutto
periodo e avesse bisogno di sfogarsi, cercavo di andargli incontro,
di evitare i motivi che lo facevano incazzare, ma appena pulivo da
una parte, trovava un motivo da un’altra. E
le offese cominciavano ad aumentare, mi chiamava, stupida, stronza,
troia a seconda del motivo e del momento ed aveva deciso di
trasferirsi definitivamente a casa mia. <<
Forse, non è il caso che
ti trasferisci qui, almeno non finché non ci capiremo per bene su
tutte le questioni pratiche come l’ordine!>>
glielo avevo detto in
cucina mentre preparavo la cena, con calma, volevo solo non farlo
star più male di come stava. Lui non rispose ma sentii una fitta
fortissima allo stinco e caddi per terra con il cucchiaio ancora in
mano. Sentii la porta sbattere e cominciai a piangere, andai in
bagno, mi tolsi i pantaloni, il livido con l’impronta della sua
scarpa era già ben visibile. Ero disperata, avevo sbagliato, lui si
era sentito offeso, credeva non lo volessi. Lo chiamai più volte al
telefono, gli scrissi. Dopo un po’ lo sentii rientrare, aveva un
mazzo di rose in mano, si inginocchiò davanti a me e mi chiese
scusa. Gli dissi che non volevo farlo star male e lo lasciai venire
ad abitare a casa mia.
Da quella volta è
sempre stato così:
quando qualcosa che dicevo non andava bene me lo faceva capire con le
mani o con i piedi. Avevo iniziato ad usare abitualmente sciarpe,
occhiali da sole e pantaloni lunghi. Quando le mie amiche mi
chiedevano cosa mi fosse successo mi inventavo cadute, spigoli
dell’armadio, allergie e congiuntiviti. Loro non avrebbero capito,
mi avrebbero detto che era lui a sbagliare non io, ma loro non
sapevano. Almeno io mi dicevo così, fino ad oggi. Mi sono sentita
male al lavoro, nulla di grave ma sono venuta a casa, da lui. Mentre
ero sul divano mi è arrivato un messaggio, lo ha letto lui: <<
Ciao, stai meglio?
Riguardati capa!>>
era il mio superiore. Lui
si è incazzato:<<
Cosa c’è tra di voi?
Te la fai con il capo, puttana?>>
ho provato a spiegargli
che non c’è nulla tra di noi, che era solo stato gentile che amavo
solo lui, ma continuava ad urlare, poi mi ha preso per i capelli, mi
ha trascinata per terra e ha cominciato a prendermi a calci: <<
Così capisci chi
comanda, troia! Ora vediamo se hai ancora voglia di scherzare con il
tuo capo, stronza!>>
Prima le gambe, poi lo
stomaco, un dolore atroce, mi sono rannicchiata su me stessa, ma un
calcio mi è arrivato in faccia, poi non ho sentito più nulla. Ho
appena riaperto gli occhi, sento il gusto ferruginoso del sangue in
bocca. Lui è lì e mi
guarda. Quel bastardo
pianta i suoi occhi dritti sui miei e non dice nulla, poi il suo
sguardo scende verso il mio corpo, quando lo ha attraversato tutto si
alza e se ne va per quella maledetta porta. Resto
sola, avrei dovuto parlarne con le mie amiche, avrei dovuto mandarlo
via, avrei dovuto...ma non l’ho fatto e ora sono sola nel mio
sangue e non ho nessuno a cui dire addio.
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